Un grande classico della cucina regionale italiana, che rappresenta un vero e proprio rituale gastronomico e che, nelle sue versioni più o meno fedeli all’originale è ormai noto e preparato in tutta la Penisola e anche all’estero.
Il profumo della domenica
Per chi ha avuto la fortuna di crescere o soggiornare in Emilia Romagna, il ricordo della domenica mattina si associa immediatamente non solo al tintinnio dei cucchiai e delle tazzine per colazione, ma soprattutto al profumo del ragù alla bolognese che sobbolle in pentola per ore e ore. Il tutto sotto le cure amorevoli delle “sdore” (zdòre, o azdore, a seconda delle varianti locali), cioè delle donne di casa, intente a farne un capolavoro di gusto e un trait d’union tra pietanze diverse come tagliatelle all’uovo, gnocchi, polenta, ma soprattutto le celeberrime lasagne al forno.
Una ricetta dalle origini antiche
Il nome ragù (ragó in dialetto bolognese) che ormai indica inequivocabilmente la celebre preparazione a base di carne mista tritata dell’Emilia Romagna, deriva dal termine francese ragoût, con cui un tempo si intendevano tutte quelle ricette in cui gli ingredienti (la carne innanzitutto, ma all’occasione anche il pesce o le verdure) venivano ridotti in pezzetti più o meno piccoli e poi cotti in umido a fuoco basso per lungo tempo. Non si sa con esattezza quando il termine cominciò a diffondersi e affermarsi nel lessico culinario del Bel Paese, ma ciò che è certo è che questo sugo era già presente sulle tavole dei nobili tra la fine del Medioevo e l’inizio dell’Età Moderna (ovvero dall’inizio del XV secolo e la fine del XVI secolo).
Un gusto in evoluzione ma con il pedigree
Durante il Rinascimento il ragù fece la sua comparsa sui banchetti di lusso dapprima come piatto a sé, così come è tuttora inteso nella cucina francese, al pari di altre varianti presenti nelle cucine etniche (da quelle africane a quelle indiane) in cui compaiono “sughi” a pezzetti che sono i veri protagonisti di portate da condividere da mangiare con pani di varia fattura.
Solo successivamente iniziò a essere utilizzato per arricchire la pasta. La prima testimonianza scritta in cui la ricetta del ragù servito come condimento è un manoscritto di fine Settecento, redatto da Alberto Alvisi, cuoco del Cardinal Barnaba Chiaramonti, vescovo di Imola e futuro papa Pio VII.
Oltre alla destinazione d’uso, anche la ricetta si è evoluta nel tempo: se inizialmente si trattava di un misto di carni bovine, soffritte nel lardo e nel burro insieme a un mix di “odori” (sedano, carota e cipolla), magari con l’aggiunta di erbe e spezie, la più significativa tra le variazione succedutesi nel tempo fu l’introduzione del pomodoro nell’Ottocento e, più tardi, quella del concentrato.
Una ricetta depositata
Oggi la ricetta del vero ragù bolognese ha ormai assunto la sua forma definitiva e immodificabile. Infatti nell’ottobre del 1982 la delegazione di Bologna dell’Accademia italiana della cucina ha depositato la ricetta presso la Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Bologna allo scopo di garantire la continuità e il rispetto di questa tradizione gastronomica bolognese in Italia e nel mondo (dove purtroppo ancora imperversano gli spaghetti erroneamente chiamati “alla bolognese” e venduti persino in lattina.
Le varianti regionali e le avanguardie culinarie
Se di ragù bolognese ce n’è uno, non mancano le varianti regionali, ugualmente corpose e saporite, ideate per condire pappardelle, fettuccine, lasagnette, paccheri, ziti, bigoli o gnocchi. Tra gli esempi più celebri ci sono il ragù toscano (a base di macinato di manzo e maiale, odori e pomodoro), quello alla napoletana (più ricco perché comprensivo di salsiccia, biancostato di manzo, costine di maiale, cipolla e salsa di pomodoro), quello veneto d’anatra, senza dimenticare quelli dal sapore più “selvatico” come il ragù di cinghiale o di lepre, ma neppure quelli più delicati (come quelli di coniglio o di tacchino). Infine, per chi vuole allontanarsi davvero dalla tradizione senza rinunciare alle proteine: il ragù di lenticchie e quello di seitan.
Bianco o rosso, dentro e fuori dal tegame
La ricetta dell’autentico ragù bolognese prevede l’aggiunta di un po’ di vino rosso per sfumare il macinato di manzo dopo averlo rosolato nel tegame; altre varianti indicano invece di usare un vino bianco in relazione anche al tipo di carne selezionata e all’inserimento o meno del pomodoro. Ma la scelta del vino giusto non solo è importante in fase di preparazione bensì anche nel successivo pairing al piatto. Per quanto riguarda i “rossi” la preferenza va sempre ai vini tipici dell’Emilia-Romagna come il Sangiovese o Lambrusco oppure a quelli toscani, marchigiani e umbri, dal colore e dal gusto più o meno intenso a seconda della corposità del piatto che dovranno esaltare.