La voglia di concludere il pasto con un dessert è questione di golosità, ma anche di abitudini, di bisogno di rassicurazione e del desiderio di variare sapore dopo una o più portate salate.
Fame? No… bisogno di rassicurazione!
Comfort food per eccellenza i dolci rappresentano un peccato di gola che non ha nulla a che fare con la fame vera e propria ma che, come dimostrato da uno studio pubblicato nel 2018, dipende dalla permanenza di meccanismi preistorici (gli uomini primitivi associavano il sapore dolce agli alimenti non velenosi, al contrario di quelli aspri o amari), oltre che dalle abitudini apprese in famiglia rispetto al “rituale” del fine-pasto.
Il risultato è che il dessert generano un istintivo e inconscio senso di rassicurazione, che trova nella fisiologia del cervello la sua conferma concreta: infatti lo zucchero agisce sui centri nervosi legati al meccanismo del piacere, stimolando il rilascio (da parte del cervello e dell’intestino) di particolari sostanze (come serotonina e dopamina) che generano un immediato (seppur transitorio) senso di appagamento ed euforia.
Un meccanismo che può trasformarsi in una vera dipendenza (sugar craving). Infine, la voglia di dolce ha molte volte un’origine emotiva: il dessert a fine pasto o (più spesso) il dolcetto extra come snack, si trasformano in una sorta di ricompensa o di compensazione a un inappagato bisogno di attenzione, conforto, affetto. Insomma, un modo per sublimare attraverso il piacere del palato, un vuoto interiore (emotivo ed emozionale) che poco ha a che fare con il vuoto dello stomaco.
La scienza del dessert
Il fatto che, indipendentemente dalla quantità di cibo già ingerito, a fine pasto la maggior parte delle persone trovi ancora spazio per il dolce, ha portato i ricercatori a indagare il fenomeno da un punto di vista scientifico. Dagli studi condotti è emerso che la voglia di zuccheri sarebbe innescata proprio dalla sazietà raggiunta grazie al consumo di cibi salati, che porta a desiderare un sapore completamente diverso da quelli che si è appena finito di gustare.
Si tratta di quella che i ricercatori hanno ribattezzato “sazietà sensoriale specifica”: una sorta assuefazione ad un sapore specifico, che spinge il cervello a modulare i segnali di appetito e sazietà, sostituendo il bisogno di appagare lo stomaco con il desiderio di compiacere il palato, facendogli sperimentare a ogni pasto tutti e 5 i sapori che le papille gustative sono in grado di riconoscere ( il salato, l’amaro, l’aspro, l’umami e, appunto, il dolce).
Vantaggi e rischi
Di per sé il meccanismo della “sazietà sensoriale specifica” è positivo: rappresenta un freno naturale dell’appetito, che il corpo umano ha sviluppato per adottare istintivamente una dieta più varia e completa dal punto di vista nutrizionale, evitando di mangiare continuamente gli stessi cibi.
Ma è anche ciò che spinge a mangiare oltre il limite della sazietà quando ci si trova a un buffet o se al ristorante vengono servite in sequenza portate con caratteristiche organolettiche molto diverse tra loro. E soprattutto è alla base della strategia con cui alcune aziende che operano nell’industria alimentare, cercano di incentivare il consumo di cibo spazzatura, proprio giocando sulla commistione dei sapori per rende ogni boccone “complesso” (al tempo stesso sapido, dolce, aspro e umami).
Questo disorienta le papille gustative e il cervello e provoca un’assuefazione agli alimenti iper processati che sono un vero e proprio attentato alla linea e alla salute.
Una coccola a cui non bisogna per forza rinunciare
Appagare la “voglia di dolce” senza compromettere il peso forma né rinunciare a un’alimentazione sana è possibile. Innanzitutto si può prevenire il desiderio del dessert attraverso una migliore strutturazione del menù e una maggiore attenzione per l’equilibrio dei sapori tra le portate.
Come insegnano i grandi chef: ogni piatto deve avere una sua complessità e mescolare ingredienti diversi per consistenza, colore e gusto (per esempio introdurre nelle pietanze elementi zuccherini in piccole dosi, come zucca, mais, miele o frutta secca), in modo da appagare il cervello e il palato al punto a non rendere necessaria la ricerca di “qualcosa di diverso”.
Al tempo stesso, se proprio non si può resistere al rituale della “conclusione dolce”, bisogna ricordare che esistono delle alternative light ai dessert ipercalorici. Infatti anche un biscotto senza zucchero, della frutta disidratata (come un dattero), un bicchierino di sorbetto o un quadretto di cioccolato fondente possono bastare per sentirsi soddisfatti senza incidere troppo sul carico glicemico del pasto e sul bilancio calorico giornaliero.